I sei uomini erano raggruppati nei pressi della grossa cavità, che Costigan chiamava Occhio dell’Ago. Erano vicini l’uno all’altro, in atteggiamenti che sembravano dettati da un bisogno di sentirsi reciprocamente protetti e sicuri. Il motivo vero era che solo così potevano comunicare tra loro velocemente, con brevi frasi e a voce bassa.
La notte del collaudo.
Il dottor Costigan stava sistemando alcuni fili sul fianco dell’Occhio, osservato con grande attenzione da Orcutt, seduto di sotto a gambe incrociate e con la pipa in bocca.
Gli altri, Sam Otto, Glenn Basher e Howard Tooksberry, parlavano con animazione di svariati argomenti, che affrontavano uno dietro l’altro, preoccupati solo di mantenere una conversazione disinvolta. James Holcombe parlava poco. Devan pensò che era ben strano parlare di calcio in aprile, quando si arrivò a questo argomento, dopo aver parlato del tempo, della Borsa e della situazione internazionale.
Il lavoro era stato completato a metà aprile, dopo di che Costigan s’era impegnato presso il Comitato esecutivo a fare una prova in loro presenza. Ciò poteva avvenire solo qualche ora dopo che erano state installate le cassettine segrete.
Prima del collaudo definitivo, il dottore aveva fatto tutti i collaudi con strumenti appositi, voltametri, indicatori, videometri e altre apparecchiature che sembravano a Devan molto elementari. Stavano in piccole cassette di legno con i soliti contatori all’esterno. A una delle cassette era collegata una cuffia che Costigan aveva messo in testa, registrando e apportando modifiche. L’apparecchio aveva la struttura di un contatore Geiger, ma non lo era.
Comunque, per esserne sicuro, Devan se ne fece prestare uno dal magazzino della “Inland” e lo usò per le sue indagini intorno all’Ago, ma non ne ricevette alcun indizio particolare: nel tubo non risultò la presenza di raggi gamma, né X, né di particelle radioattive, né di raggi cosmici. Per cui Devan non poté stabilire quale fosse il vero scopo delle prove di Costigan.
Ora, alle sette di sera, quelli del Comitato esecutivo erano tutti lì ad assistere ai preparativi di Costigan.
Anzitutto, il dottore aveva sistemato un grosso pannello di controllo di fianco all’Occhio dell’Ago. Questo era collegato ad altri pannelli di controllo lungo il muro, per mezzo di un grosso cavo di gomma.
Nessuno dei presenti osava chiedere al dottore se volesse essere aiutato e Costigan premendo bottoni e muovendo leve, iniziò le prime operazioni di messa in marcia della macchina.
Sulle porte intorno alla stanza i bottoni rossi indicavano che nessuno poteva né entrare, né uscire.
Finalmente il dottore indicò che tutto era pronto e, come era stato precedentemente deciso, tutti presero i posti loro assegnati. Sam Otto si fece vicino a una cassettina, Orcutt si sistemò accanto a una fessura in legno a forma di U dal lato della cruna dell’Ago. Dalla cassettina Sam tolse un grosso coniglio bianco e lo depose nel piccolo spazio davanti alla cruna. Il coniglio era, per il momento, al centro dell’attenzione generale. Sulle prime non si mosse di molto e, comunque, non si avvicinò all’apertura del tubo. Devan suggerì una carota che lo invogliasse a spostarsi, e Sam si ricordò di averla portata con sé proprio per quella ragione. Appena la carota fu sistemata a pezzettini nella cavità, il coniglio cominciò a dare segni di agitazione e annusando l’aria intorno a s,é entrò nella zona della cruna, scomparendo rapidamente nella cavità.
Passò qualche minuto e il coniglio non si fece vedere per niente. L’attesa si protrasse e cominciarono le congetture. — Forse non riesce più a trovare la strada per tornar fuori — disse Tooksberry — il povero coniglio deve essere confuso come lo siamo noi.
L’ipotesi di Costigan fu che il coniglio, non vedendo le carote, si fosse spinto fino all’altra estremità, ma che avrebbe finito comunque per tornare fuori. Decisero di provare con l’altro coniglio che avevano portato, il quale fece la medesima fine del primo.
— Sentite — disse a questo punto Orcutt — quello che dobbiamo fare è di entrare noi stessi, qualcuno di noi, a vedere e riferire ciò che un povero coniglio non può fare certamente.
— Ma è rischioso — protestò Costigan — potremmo non uscirne neanche noi.
— Ma noi abbiamo un cervello e potremo renderci conto di quello che succede lì dentro — insisté Orcutt.
— Ricordate — intervenne Costigan — cosa dissi dei miei esperimenti? Trovai acqua nel tubo. E se capitasse così anche questa volta?
Ma Orcutt era assolutamente deciso a far valere il suo punto di vista. Si avvicinò all’Occhio.
— Cosa fate, Ed? — intervenne Devan.
— Voglio solo sentire se c’è dell’acqua. — Rimosse la chiusura di legno e tutti gli si fecero attorno.
Quella superficie apparentemente innocente, ma decisamente piena di incognite, comunicava a Devan la stessa sensazione che provava guardando giù da una finestra situata molto in alto: buttarvisi per provare cosa succedeva. Pensava che questa sensazione potesse essere condivisa anche dagli altri e li osservò a uno a uno per scoprirlo.
Orcutt si era avvicinato completamente, invitando scherzosamente gli altri a non spingere. Infilò una mano nella cavità e la vide sparire, ricevendo subito una sensazione di freddo e intuendo che la sua mano si stava allontanando. — È ridicolo — disse — ma debbo seguire la mia mano ed entrare nella cavità. — Fece per infilarvisi, ma Costigan glielo impedì.
— L’invenzione è mia — disse — penso che dovrei avere l’onore di provarla per primo.
Devan, Basher e gli altri si opposero a questa sua proposta e ognuno di loro cercava di enumerare le ragioni per cui l’inaugurazione della macchina avrebbe dovuto essere propria.
— E sta bene — dise Orcutt — avete inventato la macchina, ma chi ha disposto le cose in modo che ne fosse possibile la costruzione?
Sam sorridendo angelicamente chiese d’altra parte agli astanti se si rendessero conto che era stato proprio lui a proporre loro l’idea di Costigan e che quindi il privilegio toccava a lui. Si avvicinò alla macchina, facendosi largo tra gli altri: — Mi sento come Colombo — disse, ma una semplice opposizione da parte del dottore, gli fece subito cambiare idea.
Era impossibile entrarci tutti, e d’altra parte il tempo trascorreva in queste discussioni, così si finì col decidere di tirare le buschette.
Tooksberry si incaricò di trovarle e infatti poco dopo ritornò con le pagliuzze prelevate da una scopa. Solo la sorte avrebbe deciso, in modo che qualcuno potesse entrare nel tubo, a contatto con quella piccola area misteriosa che poteva ben presentare, come aveva detto Sam, incognite tali da paragonarle al viaggio di Colombo.
La scelta fu fatta rapidamente: Glenn Basher era il predestinato. Appariva un po’ nervoso e si accese una sigaretta: — Prima di entrare — disse — vorrei fare alcune prove alle quali ho pensato.
Vista la sua sia pure impercettibile esitazione, Orcutt si offrì subito di sostituirlo, ma Basher rifiutò e aspirata con forza una boccata dalla sigaretta, la gettò per terra schiacciandola col piede. Pochi centimetri lo separavano dall’apertura del tubo. Si avvicinò e rapidamente infilò la testa, che sparì. Diversi pezzetti di metallo caddero tintinnando nell’interno della cruna.
Dopo pochi istanti, Basher uscì: — Fa freddo là dentro — sentenziò — c’era un’arietta pungente, ma non ho visto assolutamente nulla. Bisogna proprio che ci entri per capirne qualcosa.
All’improvviso smise di parlare e impallidì, muovendo al tempo stesso la bocca e passandosi la lingua intorno ai denti.
— Accidenti — urlò — mi si sono staccate tutte le capsule.
— Gli oggetti inanimati non possono passare nella mia macchina — spiegò Costigan, mentre gli altri si avvicinavano all’apertura dove giacevano i pezzettini metallici caduti dai denti di Basher.
Basher allungò la mano per raccoglierli e questa sparì. Improvvisamente sentì che gli mancava l’equilibrio e che stava cadendo in avanti. Lanciò un grido. Una dozzina di mani lo afferrarono per trattenerlo e ne ritrassero solo i suoi abiti. Vuoti.
Basher era scomparso nella cruna. Del tutto.
Attesero per un po’ che tutto si svolgesse come previsto nella cavità, e che Basher tornasse fuori. Niente.
L’attesa fu vana. L’unica cosa viva rimasta loro dell’amico scomparso in quel buio misterioso era l’eco dell’urlo lanciato da Basher.
Il primo a muoversi fu Sam che, con il volto contratto dall’orrore, e come se stesse scorgendo delle forme mostruose, guardò nella cavità.
— Non perdiamo la testa — intervenne Costigan, tirando Sam per un braccio. — Esaminiamo bene la situazione.
— Abbiamo i suoi abiti — continuò — e non potrà star là dentro molto a lungo, nudo com’è ora. Non c’è che da stare tranquilli ad aspettare.
L’attesa fu lunga e silenziosa. Orcutt accese la pipa. Holcombe e Devan una sigaretta. Sam Otto riprese il sigaro che gli era caduto nel parapiglia successo alla scomparsa di Basher.
Solo Costigan rimase in piedi a esaminare le indicazioni dei pannelli di controllo.
Devan si sentiva, a mano a mano che il tempo passava, sempre più a disagio. Si era parlato del freddo del tubo e pensava alla orribile condizione nella quale si doveva trovare Basher. Non avrebbe resistito, si disse. Ma dove era andato? Dove?
Riandò agli esperimenti precedenti che Costigan aveva effettuato e pensò che l’acqua trovata le prime volte e poi l’aria, sin da allora avvertita, indicavano la relazione esistente tra quella cavità e un mondo al di fuori di essa, simile al nostro, in quanto dotato degli stessi elementi naturali. Acqua e aria. Pensava, pensava e le idee gli si confondevano sempre più.
— Basher è morto. — Il silenzio fu rotto da queste crude parole pronunciate da Tooksberry e provocò le proteste unanimi.
— E perché non torna fuori, allora — insisté trionfante Tooksberry.
— Qualcuno deve entrare a vedere cosa è successo — disse Orcutt. — Da parte mia mi posso benissimo proporre per questo incarico.
— No, Ed — Devan lo pregò — nessuno lo deve seguire. Potremmo fare la stessa fine e scomparire misteriosamente uno dopo l’altro.
Il solito Tooksberry sottolineò che a lui ciò non sarebbe potuto succedere per il semplice fatto che non ci sarebbe entrato per niente.
— Qualcuno vi ci potrebbe ficcare — grugnì Sam.
Orcutt si lasciò infine convincere da Devan a non entrare nel tubo completamente, ma a metterci solo la testa come aveva fatto Basher in un primo tempo.
— E le capsule che avete in bocca?
— Basher è ben più importante — asserì Orcutt disponendosi quindi alla prova. Si stese anzitutto a terra e gli altri lo sollevarono lentamente, tenendolo in quella posizione fino alla cavità. Quando fu davanti a essa vi introdusse le dita, che scomparirono. Poi avvicinò la testa allo spazio vuoto e questa scomparve. Si udì il tintinnio delie capsule che aveva in bocca che cadevano, e dopo parecchio tempo uscì finalmente la sua testa. I suoi occhi esprimevano disperazione. — Non c’è segno alcuno di Basher là dentro — disse — solo molto freddo e umido. — I suoi capelli erano in disordine, cosa che aumentava il suo disperato atteggiamento. — Non ho visto niente, né sentito niente. Ho chiamato Basher, ma non ho avuto risposta alcuna. Neanche un’eco.
Quattro ore dopo sei uomini disperati mandarono a cercare la signora Basher. Quando lei arrivò in tassì, la nebbiolina del primo mattino di un aprile inoltrato si stava diradando a poco a poco, restituendo a Chicago i contorni netti dei suoi palazzi contro il cielo.
Devan se la ricordava una timida donnina, ma l’aveva vista solo di sfuggita come del resto i suoi colleghi: i Basher stavano evidentemente meglio soli.
Così aveva dimenticato i suoi capelli rossi che risaltavano ora sul suo viso pallido. La donna non credeva a quanto cercavano di spiegarle. I suoi occhi interrogavano ansiosi, ma si rifiutò recisamente di prestar fede al racconto di come Basher avesse scelto la pagliuzza e fosse entrato nel tubo. Orcutt peggiorò ulteriormente la situazione parlandole della sparizione della sua mano nella cavità.
La signora Basher, via via che le spiegazioni di ognuno cercavano di convincerla della verità, diveniva invece più sospettosa e alla fine urlò che le aprissero la porta.
— Ma perché? Non ci credete?
— No… È successo qualcosa a Glenn e voi cercate di… di… aprite, vi dico!
— Ma che cosa volete fare?
— Chiamare la polizia e sapere la verità.
Devan cercò di dissuaderla. La afferrò e la scosse ed essa urlò, offesa, di non toccarla.
— Ma non potete chiamare la polizia.
— Come, non posso?
— Rovineremo tutto!
— E allora ditemi la verità su mio marito. Che ne è di lui?
— Vi abbiano già detto la verità.
— Aprite — urlò lei di nuovo.
— Uscite pure — le disse Devan.
— Non ne ricaverete nulla — aggiunse Orcutt.
La porta si richiuse.