I sei uomini rimasero lì, scossi e sovrastati da quell’atmosfera e Devan li vide così, tornando dopo aver accompagnato la signora Basher. Non poté fare a meno di ridere.

Quella risata interruppe per un momento il lavorio mentale degli altri che si stavano facendo esami di coscienza per stabilire le proprie responsabilità nel fatto, anche se poi risultavano inesistenti.

— E che c’è da ridere? — sbottò Sam. — Ci ha guastato tutto il progetto.

— Non credo — rispose Devan — non c’è da preoccuparsi. Cosa può provare contro di noi?

— Svelerà alla polizia la natura dell’Ago — dichiarò Costigan — e il segreto cesserà immediatamente.

— Questa pubblicità fatta prematuramente ci rovinerà — aggiunse Sam.

Ma Devan si mostrò sicuro del contrario, in quanto la polizia avrebbe certamente avuto, di fronte al racconto della signora Basher, le stesse reazioni di incredulità che ciascuno di loro aveva avuto all’inizio. — Penseranno che è pazza — assicurò — e se insisterà, verranno qui a vedere di cosa si tratta veramente.

— Ma non vogliamo avere qui della gente a curiosare intorno alla nostra macchina — protestò Orcutt.

— Ma in fondo nessuno di noi ha visto Basher sparire nell’Ago — continuò Devan. — Basher si allontanò semplicemente e nessuno di noi lo vide più. Del resto il suo corpo è scomparso e mancano quindi le prove tangibili del fatto e poi ora che l’Ago non funziona, non si potranno rendere conto dei suoi effetti: vedrete che non staranno molto qui e finiranno per lasciarci in pace.

Comunque fu deciso di far sparire i vestiti di Glenn Basher mettendoli nel laboratorio segreto di Costigan e quindi di limitarsi ad affermare ciò che del resto era la verità. Basher era scomparso.

Tooksberry, a questo punto, scosse la testa dicendo: — Con tutta la nostra logica, non riusciremo a riavere Glenn Basher però…

— Sapete — intervenne Costigan — è meglio che faccia funzionare l’Ago ancora un po’. Basher potrebbe essere sulla via del ritorno proprio in questo momento.

Neanche un’ora dopo arrivarono il sergente Walter Peavine e l’agente. Timothy Griffin.

Il primo, massiccio e con occhi sporgenti, fece il punto della situazione e sembrò irritato che nessuno volesse ammettere che la scomparsa di Basher fosse da attribuirsi all’Ago di Costigan. L’agente Griffin, invece, si preoccupò di fare un giro perlustrativo in tutto lo stabile.

L’interrogatorio ebbe un esito veramente scoraggiante, in quanto con nessun metodo il sergente riuscì a convincere la reticenza degli interrogati.

— Lasciate che vi faccia io una domanda ora — intervenne Orcutt, squadrando il poliziotto con aria che appariva offesa. — Ebbene, ditemi francamente, voi lo credereste che Glenn Basher sia entrato in quella cavità e sia poi scomparso?

Il sergente Peavine osservò con occhio rispettoso l’Ago e quindi rispose: — No di certo. Mi credete pazzo?

— È allora perché volete che noi ve lo diciamo?

Il sergente sembrava affascinato sia dalla bellezza sia dalla linea e dalla simmetria dell’Ago e non riusciva quasi a staccarne gli occhi.

— Benissimo — disse. — Ammetto che è da pazzi pensarlo, ma io devo seguire la traccia indicatami dalla signora Basher.

— A proposito — chiese Devan — come sta? Si è calmata? Era molto agitata quando venne qui.

— Stava benissimo quando noi l’abbiamo lasciata, anche se al primo momento ci è sembrata pazza da legare. Non ho mai visto una donna tanto addolorata. — Tossì. — Ma, tornando alla questione di suo marito… Dunque, qualcuno di voi la chiamò e le disse di venire qui, no?

— Esatto, sergente — intervenne Holcombe. — Glenn Basher ci piantò in asso a metà di un esperimento e… — sorrise imbarazzato — pensammo che fosse tornato a casa.

— Era qui un minuto prima — spiegò Sam schioccando le dita — e dopo un minuto non c’era più. Pensavamo che la moglie ci potesse spiegare questa scomparsa, scomparsa, convenitene, molto misteriosa.

— Un rebus bell’e buono — commentò asciutto il sergente — porte e finestre chiuse, ventilatori fermi, ecc. Eppure, qualcuno scompare.

— Esatto, ispettore — disse Tooksberry.

— Sergente — rettificò Peavine.

— Già, scusatemi.

Tornò l’altro poliziotto spiegando che tutto era normale, tranne qualche porta chiusa.

— Andremo a verificare, Tim. — Il sergente prese una sedia e ci si mise a cavalcioni volgendosi verso i sei uomini. — Ma che diavolo facevate qui a quest’ora del mattino?

— Ve l’ho detto, sergente — spiegò Orcutt, accarezzandosi il mento. — Esperimenti spaziali, ma questa non è un’astronave.

— No? Ma lo sembra veramente. E che cos’è allora?

— Be’, tutto quello che vi posso dire è che è un problema.

— Non è una buona spiegazione.

— Intendo dire che questa macchina ci ha posto il problema dell’iperspazio e la sua correlazione con lo spazio intorno a noi.

— In questo momento — intervenne Devan — ci stavamo occupando della trasferibilità delle strutture di cellule viventi da qui e là e quindi di nuovo qui. Soprattutto del ritorno.

— Proprio così — disse Sam Otto.

— Già, già — mugolò il sergente — e chi è il vecchio là, intorno ai fili?

— È il dottor Winfield Costigan — spiegò Devan — inventore dell’Ago.

— Comunque — commentò il sergente — non riesco a vederci chiaro. Voi inventate una cosa e non sapete nemmeno a cosa serve.

— Volete conoscere il dottore? — gli chiese Devan.

Il sergente fu presentato a Costigan, intento a osservare alcuni cavi e un diagramma.

— Funziona?

— Non ora.

— E cosa succede quando va?

— Non l’ho ancora deciso del tutto. Vi spiacerebbe darmi quella carta? — e indicò il diagramma.

Il sergente lo raccolse e glielo porse. — E come si fa a sapere quando va, allora?

— Eccoci! — esclamò il dottore, lasciando cadere il foglio a terra. — Tenete — e mise in mano al sergente una pila che il sergente impugnò alzandosi sulla punta dei piedi per vedere meglio quello che succedeva. — Ah! — disse Costigan. — È una questione di regolarità di circuito. Pochi ohms in più o in meno possono rovinare il circuito. Ora la corrente è a posto. — Si staccò dal sergente, togliendogli la pila, che poi spense e rimise a posto. Quindi si fece indietro sforzandosi, quasi disperatamente, di vedere la parte superiore dell’Ago allungando il collo.

Intanto Devan, guardandosi intorno, notò che l’agente Griffin si stava dirigendo verso di loro, girando intorno all’Ago.

— Certo che è una cosa enorme — disse il sergente — proprio come nei libri di Randolph.

— Ascolta qui — disse Griffin, battendo con le nocche sul fianco della macchina. Ne uscì un suono sordo. Griffin si avvicinò, sempre tamburellando sul corpo metallico. Guardò infine nella cavità. — E questo che cos’è?

Si fermò a esaminare le capsule un po’ più da vicino.

Nello stesso momento Costigan urlò: — Ehi!

Tutti si volsero verso di lui e, notando l’orrore sul suo volto, cercarono l’oggetto di tale sgomento. Griffin spaventato dal tono del dottore e dalla sua espressione, aveva fatto un passo all’indietro non incontrando resistenza alcuna, dato che quello spostamento lo fece cadere proprio nella cruna dell’Ago.

Sotto lo sguardo impotente di tutti i presenti, Griffin fu visto cadere all’indietro nella galleria, lanciando un urlo di terrore.

Poi scomparve e le mani che si stesero per afferrarlo non riuscirono a raggiungerlo. Il suo abito cadde vuoto a terra. Le scarpe e le calze erano grottesche a vedersi, così vuote e affiancate.

Vi furono secondi che parvero lunghi minuti di sfibrante agonia. Si poteva avvertire l’atmosfera tesa e freneticamente ansiosa.

Il sergente Peavine si mosse verso l’Ago e Devan pensò che stesse per entrarvi anche lui, ma fortunatamente Costigan aveva interrotto il funzionamento della macchina.

Steso nella cavità stava Peavine, che afferrava i vestiti vuoti dell’amico, come a cercarvi un segno di lui, ma invano.