Il silenzio che avrebbe dovuto circondare il funzionamento della macchina di Costigan fu infranto. Primo anello della catena di congiunzione con l’opinione pubblica fu il sergente Peavine. A lui seguirono Devan, Orcutt, Sam Otto, Holcombe. Tooksberry e Costigan, che si trovarono nella necessità di rispondere a uomini in uniforme, i quali passarono poi la parola ai giornalisti.
Da questo momento, il piccolo gruppo di scienziati che aveva deciso di lavorare segretamente, vide crollare nel modo più clamoroso il proprio programma. Giornalisti, fotografi, operatori, poliziotti dappertutto. Prima in giro all’Ago e poi da loro a chiedere febbrilmente notizie sul funzionamento della macchina e sulla scomparsa delle due persone. Si doveva quindi ricominciare ogni volta daccapo a spiegare, a parlare, e i sei uomini erano stanchi, affranti, con la barba lunga. D’altra parte, era stato loro assolutamente proibito di allontanarsi dallo stabile.
Non avevano più un momento di pace, era un continuo susseguirsi di lampi al magnesio: fotografie accanto alla macchina, da soli, coi poliziotti e, sempre, con gli abiti di Griffin e Glenn Basher bene in vista.
Devan era fuori di sé e pensava che si dovevano trovare anche gli altri nella sua stessa condizione di fame, sonno e stanchezza.
— Avrete la colazione non appena terminata la prima parte dell’interrogatorio — rispose alle sue sollecitazioni il tenente Harold Johnson, compresissimo nella sua parte di poliziotto.
Fu Betty Peredge a cavarli d’impaccio. Arrivò alle nove per lavorare e riuscì a farsi strada sino a loro.
Aveva letto sui giornali ed era, naturalmente, preoccupatissima.
Dopo una discussione piuttosto accesa con Johnson, riuscì a farne capitolare la resistenza e a far portare la colazione ai sei uomini. Ne avevano un gran bisogno; si radunarono nell’ufficio di Costigan, dove poterono anche sbarbarsi col rasoio elettrico.
Le loro condizioni migliorarono subito e Costigan, esprimendo la propria momentanea soddisfazione per il piccolo benessere provato, desiderò anche di poter avere, nonostante l’ora mattutina, un buon sorso di brandy.
Betty, sopraggiunta, spiegò loro che il tenente desiderava avere una dimostrazione dell’Ago e che voleva si recassero tutti sul posto.
— Purché non ci siano altre domande! — esclamò Costigan.
— E non ditelo! — ribatté Sam Otto, con gli occhietti luccicanti e il sigaro, che Betty gli aveva procurato, penzolante dalle labbra. — Dopo tutto, è pubblicità.
— A spese di Glenn Basher e del poliziotto — ricordò Tooksberry. — Proibiranno di fare altri esperimenti dopo queste disgrazie e chiuderanno questo luogo.
— Al contrario — replicò Sam Otto. — Non sapete quale enorme richiamo costituirà per la gente questa macchina. Tutti vorranno vedere e rendersi conto. E qualcuno vorrà entrare per cercare di capire e per riportarci la giusta risposta ai nostri interrogativi. State un po’ a vedere.
— Certo, se avessi saputo che questo esperimento sarebbe costato la vita di due uomini…
— E chi dice che siano morti! — esclamò Devan. — Non potremo mai saperlo sino a che qualcuno non riuscirà a entrare e a uscire!
Quando giunsero vicino all’Ago trovarono ad attenderli poliziotti, giornalisti e fotografi. Dovettero spiegar loro che cosa esattamente era successo ai due uomini.
— Bisognerebbe che la macchina adesso funzionasse — incitò Orcutt. — Griffin e Basher potrebbero essere sulla strada del ritorno in questo momento.
— Desidero una dimostrazione — disse il luogotenente Johnson — ma non desidero che ci siano altre fatalità.
— Fatalità! — esclamò Sam Otto.
— Tutti lontani dalla macchina — ordinò Johnson — ora faremo una prova!
Non appena tutti si furono allontanati dalla macchina, Costigan eseguì tutte le varie manovre necessarie a farla funzionare. Infine si volse e annunciò che il congegno era in moto.
L’occhiata che gli lanciò il tenente Johnson era dubbiosa.
— Ma come, se ha lo stesso aspetto di prima, quando non funzionava!
— Già — replicò Costigan — ma metteteci una mano e vedrete cosa succede. Andateci piano.
Il tenente si avvicinò cautamente alla macchina, mettendo le mani proprio davanti alla cruna. Quando si fu avvicinato ancora di più, vide con enorme stupore sparire la punta delle sue dita. Si alzò un brusio dal gruppo dei presenti. Johnson ritirò velocemente le sue mani e le unì l’una all’altra, quasi per sincerarsi che fossero vive. Ripeté di nuovo l’esperimento e di nuovo, dopo aver visto sparire una parte delle sue mani, le ritrasse per vedere se erano ancora intere.
— Bene — disse — fermate la macchina, ora.
— Un momento — intervenne Devan — non potete fermare la macchina adesso. Come ha già detto Orcutt, l’agente Griffin e Glenn Basher stanno forse cercando di uscire e potranno riuscirvi solo se la macchina funziona.
— E voi pensate che siano vivi?
— Le vostre mani non sono morte, no?
— Be…
— Comunque, ci sarebbe un modo migliore e più rapido per farli uscire. Qualcuno dovrebbe entrare nell’Occhio e indicare loro la via da seguire.
— Questo no — il tenente scosse la testa in segno di diniego. — La macchina costituisce di per sé un pericolo. Qualcun altro potrebbe sparire.
— D’altra parte — intervenne Orcutt — credetemi, tenente, è l’unico sistema per riavere il vostro agente. Quindi se decidete di fermare la macchina, lo condannate per sempre.
Infine, dopo ripetute esortazioni, il tenente sottopose la proposta al capo della polizia, che la sottopose a sua volta al commissario, che la sottopose al sindaco, e finalmente fu deciso che l’Ago avrebbe funzionato. Per precauzione, tuttavia, fu eretta intorno allo strumento una palizzata di legno con un cancelletto per entrarvi e un poliziotto, che stazionava in permanenza, fu posto proprio davanti all’imboccatura della macchina. Nessuno doveva entrare; in caso di trasgressione, il poliziotto era armato.
— Non capisco perché non vi lascino entrare — stava dicendo Betty a Devan. Essi stavano seduti su di una cassa da imballaggio davanti all’ufficio di Costigan.
— Continuano a sperare che faremo saltar fuori l’agente Griffin da un momento all’altro, come un coniglio fuori da un cappello.
— Ma è possibile che Griffin possa uscire dall’Occhio?
— Certo che è possibile.
— È certo una cosa eccezionale questa macchina, ma come avete potuto, sapendone gli effetti, costruirla, per poi far sparire la gente?
— Già, quante grane di meno se non l’avessimo costruita.
— Sono tutti in subbuglio per questa invenzione e giornali e radio non parlano d’altro. Pensare che i circuiti che ho disegnato sono ora parte integrante dell’Ago! Ma infine ci deve ben essere stata qualche altra ragione valida per costruirla oltre a far sparire le cose.
— “Le cose” non spariscono, Betty. Solo la carne vivente. E non chiedetemi il perché…
— Vi siete chiesti dove questi elementi vadano a finire?
— Già — Devan asserì — ed è per questa ragione che è stato costruito questo colossale strumento. — Le spiegò quindi dei precedenti strumenti in scala minore e della possibilità da loro contemplata di usarli per diagnosi interne. D’altra parte chi avrebbe voluto usare tale apparecchio, non sapendo dove andasse a finire la parte che scompariva momentaneamente?
— Così costruimmo la macchina, grande abbastanza per poterci far entrare una persona che controllasse personalmente tutto quanto avvenisse all’interno. Abbiamo già fatto due errori e non ne vogliamo più un terzo per ora. Sarebbe stato meglio che fossi rimasto giù in Florida, anche se avrei dovuto ugualmente tornare su, ora, con questo can-can.
— Che c’è giù in Florida? — e Betty si volse con eccessiva animazione, così almeno gli sembrò.
— Un posto chiamato “Pelickan Rock”, rocca del pellicano. Lo comprai ma non ho avuto mai la possibilità di recarmici sino a quest’inverno. E una volta là, saltò fuori l’affare dell’Ago. Mia moglie e i piccoli sono ancora giù. Mai stata in Florida?
— No. Frank e io pensiamo che un giorno o l’altro ci andremo. O in Florida o in California. Non abbiamo ancora deciso.
— E state lavorando per quel giorno? Per questo avete preso questo impiego?
— No — Betty rispose. — Io ho un bambino, Jimmy, che ho seguito per sei anni. Ora è a scuola e io non ho niente da fare. Be’, non è che non troverei da fare in casa. Ci sono sempre mille cose. Ma c’è mia suocera, la madre di Frank. Abita con noi e prepara a Jimmy la colazione. Sa che a me piace lavorare e così abbiamo fatto una specie di contratto. Lei fa il lavoro di casa e io mi porto a casa un assegno lavorando fuori. E così, lavorando tutti e due, Frank e io siamo riusciti a mettere qualcosa da parte.
— So cosa significa avere una famiglia. Io ho due bambini che hanno qualche anno più del vostro Jimmy e costano un sacco di soldi.
— Avete l’aria stanca.
Improvvisamente si udirono alcune voci, assai concitate, provenire dalla parte dell’Ago.
Si trattava di tre persone, un omone, un omino e una donna, che Devan non aveva mai visto prima d’ora. Stavano là a discutere col poliziotto addetto alla sorveglianza della macchina, il quale faceva cenni in direzione dell’ufficio d’ingresso e scuoteva la testa.
— Ho visto quando entravano — Betty disse — approfittando dell’assenza momentanea dell’agente addetto all’entrata.
Devan chiese: — E dove sono tutti gli altri?
— Non vedo nessuno all’infuori di un agente. Anche i giornalisti sono scomparsi.
Lanciò un’occhiata nell’ufficio di Costigan e vide Sam Otto che guardava fuori, in direzione dei tre sconosciuti.
— Vorrei uscire un momento — disse Devan — a prendere un po’ d’aria.
Salì i gradini che conducevano alla porta dell’ufficio di Costigan. Il dottore era addormentato, con la testa fra le braccia. Orcutt si volse a lui e a Betty con occhi pieni di sonno, anche lui stava disteso in una comoda poltrona.
— Nessuno viene al tennis? — chiese Devan.
— E va’ al diavolo — Sam Otto rispose dalla finestra. — Non che io a tennis abbia mai giocato.
Orcutt si alzò e si stirò. — Bene, Dev, che cosa accadrà del progetto, ora?
— Non ci ho pensato, mi sto invece chiedendo cosa accadrà a noi.
— Tutti in prigione — intervenne Tooksberry. — Ho chiamato mia moglie che credeva ci fossi già.
— Abbiamo visite — disse Sam.
— Spero che non vengano per altre domande — ribatté Orcutt.
— C’era fuori della gente che stava discutendo col poliziotto di guardia; adesso sta venendo dalla nostra parte.
Poco dopo infatti comparvero sulla porta i tre accompagnati da un poliziotto. — Dicono che hanno un messaggio dal vostro capo — spiegò l’agente. — Li conoscete?
I tre a fianco a fianco furono oggetto di un esame. L’uomo alto aveva un’aria eccessivamente piena di sé, pensò Devan. Tutto nel suo atteggiamento confermava questa impressione; il mento volitivo e volto in alto e le labbra tra cui stava un grosso sigaro. Gli occhi erano pieni di fuoco, il suo cappotto scuro era “démodé” e il cappello frusto, ma pulito.
Al suo fianco stava una donna che aveva un naso molto sporgente, occhi rotondi e capigliatura nera che usciva disordinatamente da un vecchio cappello scuro. Teneva le labbra strette, con espressione dura.
Il terzo uomo stava completamente rigido, coi piedi che formavano una V, le spalle indietro, l’abito ben stirato, almeno da quanto Devan poteva vedere dal cappotto aperto. Il suo viso era comune, ma aveva negli occhi qualcosa di fanatico.
— Mai visti prima d’ora nel mio ufficio — disse Devan.
— Neanch’io — confermò Orcutt. E gli altri annuirono a loro volta.
— Chi è il capo, qui? — chiese l’uomo grosso con voce cavernosa.
— E che volete? — sbottò Devan, irritato dai suoi modi.
— Chi è mai questo capo? — chiese Sam Otto, incuriosito.
— Chi altri se non Dio? — spiegò l’omone. — E noi siamo i suoi figlioli. Io sono Eric Sudduth della “Missione Sudduth”, giù nella via, e questa — indicò la donna — è Sorella Abigail, Direttrice del lavoro di Assistenza e Rendenzione delle donne. Orvid Blaine, l’Eminente Fratello qui accanto, è l’Assistente Direttore del Lavoro.
Devan si presentò a sua volta. — E che volete da noi?
— Dovete fermare la macchina — Sudduth disse. — Dio ci ha fatto sapere che state interferendo con il Suo lavoro, e il Suo volere. Le due persone sacrificate sono state un Suo avvertimento. La macchina dev’essere distrutta.
— Amen — pronunciò Sorella Abigail.
— Vi conviene fare come dice lui — l’Assistente Direttore bofonchiò fra i denti. — Non vogliamo che il volere di Dio venga disprezzato in questo modo.
— Mi spiace averli fatti entrare — si scusò il poliziotto. — Quest’uomo disse…
— Fermate la macchina e ci sarà gloria per voi e gloria per me — disse Sorella Abigail, rivelando nel sorriso lunghi denti aguzzi.
Devan scrutò Orcutt e nei suoi occhi lesse il disagio. Ci fu un lungo silenzio penoso che Devan accomunò mentalmente a un altro silenzio del genere cui aveva assistito, quando a una recita di dilettanti uno degli attori aveva perso il filo del discorso, che era assolutamente indispensabile ai fini di quanto gli altri avrebbero detto, impedendo loro di superare quella sua amnesia.
— Ehi, voi tre — uscì infine il poliziotto — andate via, su.
— Un momento — intervenne Devan — sono sicuro che questi signori hanno le migliori intenzioni e sono in assoluta buona fede nell’insistere sulla loro posizione.
— È meglio che fermiate la macchina — replicò minacciosamente Blaine. — Avete udito quanto ha detto il Gran Direttore.
— Io non ho udito il volere di Dio, ma so che dobbiamo far funzionare la macchina fin che ci sia speranza di riavere quei due indietro.
— Nessuno tornerà indietro — disse Sudduth — inutile sperare di riparare all’errore compiuto.
Orcutt si ribellò con violenza a queste parole, facendo intervenire in difesa di Sudduth il Fratello Blaine.
— Sta’ calmo, Orvid! — esortò Eric Sudduth, rivolgendosi quindi a Orcutt: — È chiaro — egli disse — che non avete ricevuto dal vostro intelletto il dono di una più intima e profonda visione di questo mondo tribolato, quale ci è stata concessa. La crisi attuale in cui il mondo versa è causata da uomini come voi ed è nostro compito raddrizzarvi…
— E che c’entra con l’Ago? — sollecitò Sam Otto.
— Anzi ciò che ho detto è proprio a proposito — replicò Sudduth. — I due uomini che così sconsideratamente avete anullato con la vostra macchina, avrebbero potuto forse arrivare un giorno a vedere questa luce di cui noi predichiamo.
— Volete dire — chiese Devan — che prima o poi si sarebbero uniti alla vostra Missione?
— Noi non possiamo per forza di cose avere gli occhi sul mondo intero — spiegò Sudduth — ma cerchiamo nei nostri limiti di agire nel piccolo mondo che ci circonda. Le forze della legge e dell’ordine potrebbero anche permettervi di condurre delle persone a una cosa grave quale il loro annullamento completo, ma io, come Gran Direttore del nostro Lavoro di Salvezza degli uomini, proprio non posso permetterlo, tanto più così vicino alla mia Missione.
— Fermate la macchina nel nome del Gran Direttore — rincarò Sorella Abigail.
— Nel nome del Capo Supremo! Nel nome della Gloria!
— Basta, Sorella — disse Sudduth.
— Non possiamo fermarla — Devan insistette.
— Per di qui! — Il poliziotto si riscosse e aprì la porta.
— Il Gran Direttore ha ordinato di fermarla — continuò Blaine, con gli occhi lampeggianti e il viso sconvolto. Si incamminò dietro a Devan.
— Ehi, voi, venite qui — lo richiamò l’agente prendendolo per un braccio e sospingendolo verso la porta.
— Male ve ne incorrerà — furono le ultime parole di Sudduth.
— Non potete disobbedire al Capo! — gridò istericamente la donna.
— Amen! — urlò Blaine.
Il poliziotto li spinse fuori.