La decisione

16

I tre bambini si rincorrevano in riva al mare, tra gli spruzzi d’acqua sollevati dai loro piedi nudi. La bambina stava davanti e i due maschietti dietro. Ridevano e correvano lasciando le loro impronte sulla spiaggia.

Infine, stanchi, si diressero verso il prato e vi si abbandonarono ansimando, senza però smettere di ridere.

— Ho corso troppo — disse Don. — Avresti dovuto lasciarti prendere, Sally, e non avresti dovuto farci correre in questo modo.

— Vorrei che Don e io si potesse volare — disse Ralph — allora sì che ti avremmo preso, non è vero, Don?

— Però non è entrata nell’acqua. Le ragazze non sanno nuotare bene.

— Ma io sì — ribatté Sally — potrei farvelo vedere subito.

— Non farti sorprendere da papà, Sally — disse Ralph.

— Certamente — disse Don — ne sono convinto.

— Donny Tooksberry e tu, Ralph, smettetela ora e vi racconterò una storia.

— Che razza di storia?

— Una che parla di cosa c’è là dietro? — e il braccio di Don indicava l’orizzonte.

— Voglio sentire qualcosa di nuovo. Sally. So già tutto dell’Ago e di quando papà incontrò mamma e come…

— Lascia che racconti…

— Non volevo parlarvi di questo — disse Sally.

— A ogni modo non è vero. È una fiaba.

Sally si volse verso Ralph e lo fissò. — Ralph, come osi dire queste cose? Sai benissimo che è vero! Vuoi che papà e mamma ci dicano bugie?

— Senti — disse Don — nemmeno io ci credo molto. Come fai a credere quello che dicono delle costruzioni?

— Ma mio padre è “ingegnere” — disse Sally — e per diventare ingegnere si studia anni e anni, dopo uno è capace di fare delle costruzioni come quella che papà fa ora o… o come quell’Ago che sta fabbricando.

— Ho sentito mamma raccontare a Sally tutte queste cose, Donny.

Don piegò le labbra: — Avete mai visto una costruzione come quella di cui parlano?

— Non è necessario — disse Sally. — E allora cosa dire delle automobili, della televisione, dei fonografi e dei gelati? Abbiamo solo visto alcuni quadri con queste cose, al museo d’arte.

— Io le ho imparate a scuola quelle cose lì.

— Hai anche imparato altre cose, Don?

— Stavo scherzando — Don sorrise.

Sally stava distesa sull’erba, e guardava lontano verso l’orizzonte. — Noi siamo venuti da là — disse.

— Cosa non darei per vedere un aeroplano — disse Don — uno piccolo piccolo, ma vero.

— Cosa ne diresti di uno a reazione? — chiese Ralph, emettendo un sibilo e muovendo le mani come se fossero aeroplani.

— Oh, un giorno o l’altro, anche noi avremo tutte queste cose — rispose Don.

— Quando torniamo?

— Torneremo, dice il mio papà — fece eco Ralph.

Tutti e tre guardarono la grande distesa d’acqua.

— Staremo sempre insieme, da qualunque parte si vada, vero? — chiese Don.

— Certo. Io voglio provare ad andare in aeroplano. Uno a reazione; forse riuscirò a volarci.

— Mi chiedo — disse Sally, tenendosi il mento tra le mani — come sarà “là”.

Don si alzò e mise le mani a visiera sugli occhi.

— Che fai? — gli chiese Sally.

— Guardo.

Anche Sally guardò, ma non vide niente.

— Là — disse Don, indicando un punto sull’acqua.

— Cos’è?

— Andiamo giù a vedere?

— No — urlò Ralph — non andiamo laggiù.

— Avanti, vieni — gli disse Don — ti terremo d’occhio noi.

Scesero verso la spiaggia e arrivarono in riva all’acqua, dove galleggiava una piccola cosa pelosa. Don si avvicinò e la sollevò dall’acqua.

— È un coniglio — disse Ralph.

— Già — disse Don.

— Un momento — Sally esaminò più attentamente la bestiola. — Non vedete niente di strano in questo coniglio?

Don guardò, poi disse: — Qualcuno gli deve aver tagliato la coda.

— Un buffo coniglio — disse Ralph — senza coda.

Gli azzurri occhi di Sally erano pieni di curiosità. — No, non è che gli abbiano tagliato la coda. Sembra che, invece della solita lunga coda dei conigli, questo qui abbia solo questa cosa rotonda in fondo.

— E come mai?

— Ma, non lo so.

— Be’, andiamocene a casa — disse Ralph. I tre si allontanarono dando un’ultima occhiata al coniglio.

— I bambini sono a casa? — chiese Devan, entrando. Quindi posò il foglio delle “Notizie” della Nuova Chicago su un tavolo e si avvicinò a Betty per darle un bacio. Si sedette poi nella sua poltrona e accese una sigaretta.

— Credevo che fossero loro che stavano rientrando — disse Betty, dando un’occhiata fuori dalla finestra. — Sono stati via quasi tutto il pomeriggio con Don Tooksberry, giù alla spiaggia. Che notizie ci sono?

Devan diede una rapida scorsa ai titoli del giornale e concluse: — Niente di sensazionale. Ho avuto molto da fare oggi.

— Allora la prova è per domani notte?

— Siamo pronti già adesso. Ci sono solo gli ultimi tocchi da dare.

Sul volto di Betty calò un’ombra di tristezza e di preoccupazione e si allontanò verso la cucina seguita con gli occhi da Devan. Lui sapeva che cosa stava pensando Betty.

— Ricordi l’ultima volta? — gridò lei dalla cucina.

Devan sospirò. Come avrebbe potuto dimenticarsi di quando Basher era entrato nell’Ago anche se erano passati dieci anni? E per associazione di idee si ricordò della signora Basher che non voleva credere che Basher fosse entrato nella macchina, e quindi era andata alla polizia. Aveva parlato a Basher di questo?

— Ma non succederà come l’ultima volta, vero Dev, quando la prova fallì?

— No certo, o almeno la persona che ci passerà dentro non andrà a finire nel lago.

— Ne sei sicuro, Dev?

— Ti ricordi il piccolo Ago che abbiamo costruito?

— Quello in cui potevi solo introdurre la tua mano?

— Proprio. Se avessimo potuto capire qualcosa da quello piccolo, ci saremmo accontentati di quello. E non ci saremmo messi in questo guaio, se pure si può chiamare guaio. — Devan spense la sigaretta e andò in cucina a versarsi qualcosa da bere, mentre Betty preparava il pranzo. — Anche qui, per cominciare, il dottor Costigan ne costruì un modello ridotto, dove poteva passarci un braccio, ma questa volta non ha funzionato.

— E perché?

— Non te l’avevo detto?

— Forse me ne sono dimenticata.

— Trovammo qualcosa di solido. E così la mano non poteva passare. Poi ci accorgemmo che dall’altra parte dell’Ago c’era il sottosuolo. Allora spostammo, un po’ per volta, l’Ago con tutta l’attrezzatura elettrica sulla collina. Ci volle un po’ di tempo, ma trovammo che, infilando una mano, si poteva sentire la terra. Questa volta quindi non ci sarà pericolo di finire in un lago, ma potremo passare dall’Ago e poi tornare indietro.

— Sei molto ottimista, tu, Dev — disse Betty.

— Cosa te lo fa pensare? — chiese Devan.

— Perché pur non essendo ancora passato nessuno nell’Ago, tu sei perfettamente convinto che tutto andrà per il meglio.

— Ci abbiamo lavorato dieci anni e, questa volta, il frutto delle nostre ricerche e della nostra esperienza non andrà perduto.

— Mi vuoi spiegare una cosa, allora? Devan finì di bere. — Che cosa?

— Come farai a sapere di essere a Chicago?

Devan arrossì leggermente e si agitò. Aveva toccato il punto dolente, si disse, ma non voleva lasciarle intuire un minimo di sfiducia da parte loro…

— La tua faccia mi dice che ho quasi colpito nel segno.

— Mi vergogno che mia moglie, unica tra tutti, non conosca i fatti essenziali. È dieci anni che mi occupo di questa faccenda e tu ti sei scordata come è stata risolta.

— Dimmelo, allora.

— Invertendo la polarità. Come per un motore elettrico. Se viene invertita la polarità, questa cammina al contrario. Così faremo per l’Ago. Ma non ti avevo già detto queste cose?

— Sì, Dev. Le avevo dimenticate. Ma questa volta voglio essere ben sicura di quello che stai dicendo.

— Perché sei così preoccupata tutto a un tratto?

— Tutto a un tratto? Questa idea non mi è venuta un momento fa, ma mi tormenta da molto tempo.

Non aveva mai visto Betty così. — Per amore del Cielo, cosa c’è?

— Ti assicuro, Dev, non c’è niente. Volevo solo dire che sono un po’ in pensiero per questo secondo Ago. Ora siamo noi a dover decidere di passarci, mentre la prima volta il passaggio avvenne senza la nostra volontà.

— Ma questa volta siamo ben preparati — disse Devan, ancora poco convinto di quelle spiegazioni — e non ci saranno Sudduthiti a provocare disastri.

— A meno che Eric non si riscuota.

— Non lo farà. Ha troppo da fare con la Bibbia.

Mentre attendevano i bambini per il pranzo, Betty mise il cibo nel forno e uscì con Devan davanti alla casa.

— Sai, Dev — disse Betty aspirando una boccata di fumo dalla sua sigaretta — i Sudduthiti non sono mica stati molto cattivi, in fondo.

— Curioso pensare che molte delle donne che si sono unite a loro fossero nel mio club. Chi avrebbe mai pensato che un giorno decidessero di andare a vivere in grotte, completamente nudi?

— Quando noi saremo tornati, tutte le cose ridiventeranno normali, vedrai.

Mentre se ne stavano fuori, seduti tranquillamente nella luce del tramonto, Devan rifletteva quale poca differenza ci fosse ormai tra questa loro città e qualunque parte di Chicago. Le voci amiche, le risa, le discussioni che sentiva intorno a sé, gli parlavano di gente tranquilla, serena, unita. E con una stretta al cuore pensò alle vecchie strade, ai vecchi volti, alle vecchie cose che lo aspettavano a Chicago. Ricordava le anonime case grigie, gli squallidi cortiletti interni che si intravedevano passando con il treno, la carta abbandonata sulla ghiaia del “Grant Park”, come la si trovava al lunedì mattina, e la gente che si spingeva, i negozi l’uno accanto all’altro, l’aria impregnata di fumo e gli sguardi estranei. Non desiderava tornare. E perché farlo, allora?

Questo suo improvviso pensiero fu subito allontanato. Doveva tornare perché tutti gli altri tornavano e lì non ci sarebbe rimasto nessuno. Sì, doveva tornare.

Vide i bambini che venivano verso casa e questo lo riempì di gioia, tanto li amava. Aveva più tempo per i bambini da questa parte dell’Ago, si disse.

— Papà — gridò Sally volandogli fra le braccia. — Donny dice che non si torna là. Dimmelo babbo, per favore.

— Ma certo, cara, ci si ritorna.

— E ci sono case molto grandi?

— Certo.

— E perché le fanno tanto grandi?

— Perché tutti ci possano lavorare dentro.

— Ma non potrebbero lavorare fuori?

— Vedi — Devan si schiarì la gola. Era un po’ difficile a dirsi. — Perché le hanno fatte così alte? Sally, c’è così tanta gente e tanto poco spazio, che se ognuno se ne stese fuori a lavorare, non ci sarebbe posto più per nessuno. Invece in questo modo ci sono uffici in palazzi che toccano il cielo e così, stando l’uno sopra l’altro, ecco che lo spazio non manca.

— E come vanno in cima?

— Ascensore. Tu lo conosci.

Ralph che gli stava accanto ai pantaloni chiese: — Quanta gente vive a Chicago?

— Milioni. Tre o quattro milioni, credo.

— MILIONI! — Sally era esterrefatta. — E lavorano tutti nelle case?

— Su, Sally — disse Betty — di sicuro hai imparato tutte queste cose a scuola, no?

— Be’, proprio queste no. Ho imparato l’esistenza degli aeroplani, delle automobili, degli indiani. A proposito, ci sono indiani?

— Vivono in gruppi separati.

— Bene, li andremo a trovare, papà.

— Vedrò un aereo a reazione? — chiese Ralph.

— Cos’è un grande magazzino, papà?

— Potreste chiedere a vostro padre cos’è un night-club, o qual è la sua posizione in borsa. E vi risponderebbe a tutto, sono sicura.