Eravamo agli ultimi giorni di ottobre; le sere cominciavano a farsi rigide, e il tempo da una settimana durava nebbioso, umidiccio, melanconico.

Da un pezzo il cavalletto stava in faccia alla finestra; era tempo di mettermi io stesso in faccia al cavalletto. Mi ci ero messo una mattina; mi stava dinanzi una bella tela larga un metro, alta 70 centimetri, avevo indosso la mia veste da camera a scacchi bianchi e neri, in testa un'idea, un pezzo di carbone fra le dita, e già stavo per confidare a quella tela vergine la prima linea del mio segreto d'autore, quando entrò Valente.

Aveva il volto illuminato ed una solennità di modi sacerdotale. Senza aprir bocca, mi fece un cenno — impossibile resistere; così come mi trovavo, non lasciandomi sfuggire il carbone dalle dita, gli mossi incontro, ed egli, presomi a braccetto, mi trasse con sè.

— Che significa? — gli domandai.

— Significa che voglio esporre un quadro alla Mostra Permanente, un quadro, l'unica fatica di questi anni d'ozio, e mi abbisogna il tuo parere.

— Un quadro! — esclamai. — Finito?

— Finito.

— Io non l'ho visto.

— L'hai visto.

— La signora Valeria dinanzi al garofano fenomenale? — dissi scherzando.

— Appunto.

— L'hai finito dunque? e come? e quando? e perchè non me n'hai detto niente?

Non mi rispondeva; già eravamo sulla soglia dello studiolo; ammutolii.

Entrammo, egli prima, io dietro.

Vidi subito il cavalletto dinanzi alla finestra, un'enorme tela sovr'esso, e in piedi, col visino immerso in una melanconica contemplazione, la signora Chiarina.

Il rumore dei nostri passi non giunse fino a lei; poi ci vide, ci salutò, non si mosse. Andai a mettermele al fianco, e stetti anch'io a contemplare estatico quella meravigliosa faccia dipinta, che pareva di persona viva. Valente guardava noi sorridendo di compiacenza; alla fine andò a prendere una certa vaschetta di zinco dalle sponde basse, che pose sotto il cavalletto, un secchiolino ed una grossa spugna.

— Attenti! — disse ingrossando burlescamente la voce.

Ah!.... un piccolo grido rotto; la signora Chiarina mi passò dinanzi e sparve.

Valente buttava qua e là colpi di spugna bagnata sulla tela; l'avresti detto un maniaco; dove egli toccava, ecco.... luci, ombre, colori, tutto spariva dietro una spuma bianchiccia, sotto alla quale un piccolo rivo gocciolava nella vaschetta.

Quella lavatura frenetica, che a bella prima mi aveva sbigottito, ora mi estasiava; anch'io brontolavo parole rotte, esclamavo non so che, ed avrei voluto avere una spugna per fare anch'io tutto quello che faceva Valente, aiutare cioè una Venere gentile a spogliare quelle vesti, che erano una mascherata ridicola, a sprigionarsi dallo sfondo di sasso, dal pavimento a mosaico, per circondarsi dell'azzurro del cielo e del mare. Bastarono pochi minuti a compiere il miracolo, e quando gli ultimi sassolini del mosaico si furono staccati da una caviglia sottile ed asciutta, ed il piedino bianco apparve in mezzo all'onda spumosa, e indietro indietro si videro accorrere cento onde morbide e delicate, come manine carezzevoli o labbra mormoranti fra i baci, e tutt'intorno, per l'aria e per l'acqua, si accese una luce che era un sorriso d'amore — oh! allora, allora le sentii tutte in una volta le febbri dell'arte, le sentii come a vent'anni, come non credevo di poterle sentire mai più.

Non dicevamo nulla; lui la commozione, me la meraviglia avevano fatto immobili e muti.

È quando, passato un tempo lungo ad ammirare di facciata, di traverso, avvicinandomi ed allontanandomi, mettendo la mano a paralume sulla fronte, socchiudendo gli occhi, e guardando attraverso il pugno socchiuso come in un cannocchiale, e trovando sempre quella Venere la bellissima, la soavissima, la carissima, il superlativo assoluto delle Veneri, quando ebbi fatto tutto ciò e mi volsi grave, solenne, al suo autore, interrogando con tutta la mia persona sbalordita, ma muto sempre, allora egli sorridendo mi disse: Dalla spuma del mare.

Gli tremava la voce, io me lo strinsi al cuore, e finalmente:

— Hai fatto un capolavoro — balbettai.

Ed a me pure tremava la voce.

— Ora comprendo — soggiunsi piantandomi un'altra volta in osservazione dinanzi a quella marina innamorata, che creava un prodigio per regalarlo all'Olimpo di Giove — ora comprendo lo sbigottimento inverisimile della signora Valeria dinanzi ai garofano. Era l'ingenuo stupore di Venere, che si affaccia la prima volta al mondo; e questa luce che, sul volto di neve, le spira la sua natura divina pareva scenderle dalla finestra. Ma di', perchè la tua Venere ha forme tanto delicate e gentili? Non è questa la madre degli amori, non assomiglia a nessuna delle Veneri del Tiziano questa.... solo la Danae del Correggio....

— È Venere che nasce, fanciulla, donna e dea insieme: l'Olimpo le darà la maestà che ora le manca, questo volli dire, il difficile era questo.... Se ho sbagliato....

— Taci, non hai sbagliato, è sublime, è vero e parla subito all'immaginazione senza toccare il senso. Lascialo dire a me, che sono e sarò sempre un asino, ma schietto: hai fatto un capolavoro! —

Era evidentemente lusingato dal mio entusiasmo, pure non si teneva sicuro; guardava me negli occhi, guardava la sua tela, vedendoci difetti che non vi erano, girandole intorno come un fanciullo.

Passato il bollore artistico, io pensava: quanta castità in queste forme femminili nude! La bianchezza delle carni sbalordisce il senso, lo ingentilisce, lo purifica. Oh! come la bellezza vera è modesta!

E poi chiedevo e rispondevo a me stesso: Perchè la signora Chiarina è fuggita? Ah! ch'io lo indovino perchè....

Adattando il viso e l'accento ad un'ingenuità che era un tranello, chiesi di botto all'amico mio:

— Perchè la chiamavi Valeria?

— Perchè.... perchè così si chiamava la modella.

— Ah! ed esistono nella natura viva, modelli di tanta grazia?

— Una sola donna aveva quel viso....

— E si chiamava Valeria....

— Sì...

— E perchè tua moglie è fuggita, quando hai preso la spugna?...

— Perchè.... perchè.... te lo voglio dire, tanto un giorno o l'altro sarai il mio confidente di tutto — perchè Valeria era sua madre....

— L'hai tu conosciuta?

— No; morì mettendo al mondo la sua creatura.

— Ma allora....

Volli dire.... — mi trattenni, poi ripigliai correggendomi: — ma allora non hai preso dal vero?

— No..., ho copiato fedelmente il suo viso da una fotografia....

— E il corpo?

Lesse egli forse tutto il mio pensiero, perchè, buttandomi un braccio intorno al collo, mi trasse seco con lieve violenza. Attraversando le stanze, mi guardavo intorno; la signora Chiarina non si lasciò vedere.

— Ah! — dissi sulla soglia — tutta la notte ho pensato alla tua faccenda.

— Quale faccenda?

Corvi contro Corvi. — e per la prima volta vidi il bisticcio che aveva fatto il caso, e lo ripetei — Corvi contro Corvi.

— Sì, la cosa mi pareva imbrogliata; ci avevo capito poco, lo confesso, in quella matassa di sorelle, di cognati, di zii; sapevo solo che il bandolo era il nonno e che bisognava cominciare di lì, — ci ho pensato molto, ed ora ne ho un'idea limpidissima.... Vuoi che ti spieghi la tua lite?

— No, per carità....

— Ebbene, per me non v'è dubbio: il nonno era pieno di giudizio; se i giudici d'appello, mettendo insieme il loro, ne avranno almeno la metà del nonno, sta sicuro che daranno una volta ancora ragione a Corvi contro Corvi.... cioè a te.

— Speriamolo, — disse Valente sbadato.

— E quando si deciderà la causa?

— Tra due settimane.