La sera del giorno successivo eravamo raccolti intorno al focolare, Valente, le nostre donne ed io; ma da un quarto d'ora una specie di muraglia di granito pareva dividerci.

Ogni tanto mi provavo a sparare qualche cannonata per demolirla, senza staccarne più di tre schegge: tre monosillabi; finalmente scoraggiato rinunziai all'impresa, e m'abbandonai anch'io alla china dei miei pensieri, i quali scendevano tutti verso la signora Chiarina e Valente.

A un tratto il grosso servitore entrò recando i giornali della sera ed una lettera per me.

— Il portinaio, — mi disse quell'uomo solenne, — andava su a portargliela; gli ho detto ch'era qui, me l'ha data.

Quando per caso il grosso servitore parlava a me che stavo a sedere, mi dovevo far forza per non dirgli: — si accomodi — ed ammiravo Annetta, la quale fin dal primo giorno si era sentita capace di spiattellargli sulla faccia il suo battesimo, che era Marco, e di dargli del voi.

Non crediate ch'io lo trattassi col lei, gli davo del voi anch'io, solamente non glielo davo mai.

— Grazie — dissi e presi la lettera.

La mia Annetta e la sua Chiarina si spartirono i giornali; Valente non staccò gli occhi dalla bragia, intanto che io scorrevo curiosamente la lettera, sulla cui soprascritta si leggeva urgente, e che non urgeva niente affatto, almeno secondo il mio modo di veder la cosa.

Ero arrivato alla sottoscrizione di quel caposcarico di Celestino (voi non conoscete Celestino, ma non ci perdete nulla), il quale mi chiedeva cento lire in prestito per nove giorni, non uno più nè uno meno, quando udii una specie di singhiozzo represso, e sollevando il capo vidi la signora Chiarina più bianca del solito, abbandonata sullo schienale della seggiola, e mia moglie che le si faceva presso lasciandosi cadere di mano la gazzetta, e Valente che rizzava sbigottito la testa arrossata dal calore.

Mi levai anch'io di scatto, ed ebbi l'intuito della verità.

— Che hai, Chiarina? — domandò l'amico Nebuli colla voce rotta dall'affanno.

— Nulla..., nulla, — rispose essa, una specie di capogiro, mi è parso di vedere.... qua.... sul giornale... avrò letto male.... —

Valente prese il Pungolo con mano tremante, e cercò degli occhi e trovò quello ch'io cercai e trovai sul Secolo.

«Si avverte il signor Giuseppe Salvioni pittore, dovunque egli si trovi, che Giorgione è morto e che Chiar.... aspetta sue notizie, senza nulla pretendere. Chiunque fosse in grado di dare informazioni esatte sul detto Salvioni Giuseppe (pittore, età trentadue anni, biondo, con una cicatrice sulla fronte) rivolgendosi in Milano al signor V. Nebuli, fermo in posta, riceverà una mancia corrispondente all'importanza delle notizie.»

Era il mio piccolo componimento della vigilia, tal quale era uscito da cento cancellature, che faceva la sua prima apparizione nei giornali della sera.

Valente passava una mano carezzevole fra i capelli della sua Chiarina, la quale si era abbandonata sul petto di Annetta; ed io, non sapendo che fare o che dire, tornavo a leggere: «Si avverte il signor Giuseppe Salvioni....», quando comparve il servitore solenne, annunziando il signor Bini, e subito Chiarina ed Annetta si allontanarono, Valente andò loro dietro, io solo rimasi.

Ebbi un gran fare per darmi un po' di disinvoltura, il vecchio furbo comprese che ci era qualche cosa in aria; si guardava intorno, e credo che leggesse nel disordine delle sedie.

— Si accomodi, — gli dissi — Valente verrà or ora, l'aspetto anch'io.

— Grazie.... oh! questa seggiola è calda, chi ci stava seduto? —

E siccome non risposi, egli si accostò all'altra e fece per suo conto l'osservazione che era calda anche quella.

— Smettila, — gli dicevo dentro di me, — smettila, noioso, — ed egli finalmente mi diè retta; si pose a sedere senza dir altro, raccolse il Pungolo da terra e s'avviò a leggere come se fosse in casa sua.

A un tratto disse:

— To'! ci è un altro Nebuli a Milano.... ed ha anche l'iniziale del nostro Valente.... ha visto, signor Ferdinando?... Si avverte il signor Giuseppe Salvioni.... — Siccome io fingevo d'essere tutto intento a leggere, masticò il resto fra i denti, e non disse più nulla, finchè tornò Valente.

Come trovassi la voglia di parlare, tanto per alleggerire l'amico, non lo so; vi basti che la trovai, e dissi la prima frase venutami in mente, questa:

— Che tempo fa, signor Bini?

— Non vi ho badato.

— Oggi minacciava di piovere.... scommetterei che domani pioverà.

— Le pare? non pioverà, non ci è pericolo che piova.... —

Ma avrei giurato che già aveva piovuto, almeno sulle mie parole e sulle sue, perchè non ci fu verso di accendere con esse nemmeno il solito fuocherello di botte e risposte, che durava quattro minuti. Finalmente entrò Annetta.

— Lei qui? — disse il signor Bini levandosi in piedi per salutare. — E la signora Chiarina?

— È di là, un po' incomodata... una cosa da nulla... che tempo ci porta lei?

— Eccellente. —

Quando un quarto d'ora dopo il vecchio signore si rizzò per andarsene, gli avrei dato un bacio.

— Domattina sarò da lei, — mi disse.

— Tutto il giorno a' suoi comandi, — gli risposi.

E appena fu scomparso dietro l'uscio:

— Come sta? — chiesi ansioso a Valente.

— Benissimo; si era fatta una paura più grossa della peggiore delle realtà; ora sa tutto; è come me, tranquilla.

— Tu non sei tranquillo, — pensai.

Annetta intanto era corsa nella camera attigua, e tornava tenendo per mano l'amica sua, la quale aveva messo sulle labbra pallide un sorrisino mesto, come per farsi perdonare la sua debolezza di poc'anzi, e mi porse la mano bianca.

— Ella sa tutto, dunque? — mi disse; — Valente ha fatto con lei quello che ho fatto io colla sua buona Annetta; ebbene, meglio così, saremo più forti, non è vero?

— Verissimo, — risposi esperimentando una risata che riuscì malamente; — verissimo, e vedrà che il cielo farà le cose benino.... —

Mi pareva d'aver preso il sentiero buono per avviarvi un periodetto baldanzoso.... ma la signora Chiarina non mi lasciò finire.

— E se non fosse?... —

Tacque un istante, come atterrita dal suo pensiero, poi soggiunse crollando il capo:

— Noi siamo qui in quattro a desiderare la morte d'un disgraziato, è una cosa crudele. Annetta e lei non ce n'hanno colpa, lo fanno per amor nostro; ma io sono cattiva, ho il cuore duro.... sono un egoista.... —

Si provò a sorridere, ma io vidi che aveva voglia di piangere, e le dissi:

— Pianga, pianga; quando una ha il cuor duro come lei, non le dovrebbe avere le glandule lacrimali.... ma posto che lei le ha, se ne serva, pianga; piangi tu pure, Valente, piangerà anche Annetta, piangerò anch'io.... già nessuno ci vede.... —

La cara donnina piangeva e rideva.

Il dì dopo stavo per uscire, quando Annetta mi disse:

— Se viene il signor Bini?

— Se viene, non mi trova; lo riceverai tu. Quel vecchio mi infastidisce oramai col suo mistero; quando si va in casa della gente, e vi si porta un nome ad imprestito, non si hanno intenzioni da galantuomo....

— Che dici? sospetteresti?...

— Non so nemmeno io che cosa, ma non mi piace espormi all'aperto dinanzi ad uno che se ne sta appiattato.... se io rimanessi e lui capitasse qui ora, sarei tentato di domandargli che viene a fare in casa mia, che intenzioni ha e come si chiama.

— Eccolo! — disse Annetta.

Infatti era il suo modo di suonare; posi l'indice attraverso le labbra e me ne andai nel tinello, intanto che si apriva l'uscio; dal tinello nello studio, mentre il signor Bini entrava nell'anticamera; dallo studio nell'anticamera, quando egli passava nel tinello; e dall'anticamera quatto quatto giù per le scale, forse nel preciso momento, in cui il vecchio disinvolto cacciava il naso diritto e sottile nello studio, per vedere se vi ero, come era solito fare.

Stetti quasi due ore fuori di casa; tornai quando fui certo che l'apocrifo signor Bini era al suo caffè, al suo tavolino, a mangiare la sua bistecca quotidiana, il suo panetto ed il suo bicchiere di Chianti.

Annetta mi venne incontro sul pianerottolo; le brillavano gli occhi, aveva le guance accese; pigliò il mio bacio, me lo restituì in fretta, e mi disse:

— Sai? ne ho fatta una!

— Una sola! A guardarti in viso ne avrei sospettato un paio per lo meno. È grossa, se non altro? —

Io scherzava, perchè mi veniva in mente che avesse fatta una compera convenientissima coi quattrini della spesa, od un'elemosina per mandarmi in paradiso, senza chiedermi il permesso, eccellenti affarucci, di cui ogni tanto si presentava l'occasione.

— È grossa! — mi rispose, — ma sono felice di averla fatta. Hai da sapere che appena il signor Bini è entrato, visto che tu non eri in casa, ha detto: tanto meglio.

— Birbone d'un vecchietto!

— E mi ha chiesto senza preamboli se sapevo chi era il signor Salvioni. Indovina che cosa ho risposto?...

— Che ti facesse il favore di dirtelo lui, se lo sapeva....

— Invece no: gli ho detto tutto: me lo sono tenuto lì, cogli occhi grossi, a bocca aperta, una mezz'ora, vuotando un sacco di garbatezze (te lo puoi immaginare) sopra quel padre senza coscienza, che lascia penare due creature così buone.... «perchè in fin dei conti, ho detto, se il signor Salvioni si trova, ed è un birbante, e gli viene il capriccio di voler la moglie, il codice, che par fatto apposta per i birbanti, gliela dà; mentre un padre potrebbe.... mi pare....» Così gli ho detto.... Ho fatto male?... Non dire che ho fatto male, perchè so d'aver fatto benissimo.... Non mi dicevi tu che il tuo codice non obbliga i padri che vogliono star nascosti a farsi vedere? Ho voluto provare se sapevo far meglio io del codice.

— E lui?

— Lui impassibile.... ah! oh! niente più. Allora gli ho detto che quel duca o quel marchese, al posto del cuore, doveva avere uno dei suoi quarti di nobiltà.... e che mi piacerebbe conoscerlo, e intanto lo guardavo in faccia.... così..,.

— E lui?

— Oh! Ah!... nient'altro, ma a un tratto si battè la fronte — (il commediante! come la fa bene la sua parte!) — e «bisogna trovarle il padre.... — disse — è la prima cosa, bisogna trovarglielo.» — Ne conviene anche lei? E dica un po' che cosa avevamo sospettato noi, vedendola? (tale e quale gli ho detto) «Che foss'io il padre?» — chiese ridendo. — Proprio che fosse lei! — Ed egli: «una buona idea, una buona idea, cara signora, sono io!» Mi fece ripetere tutta la storiella, prese alcune note nel taccuino, e se ne andò senza aspettarti... —

Stetti un momento in pensiero.

— Ho fatto bene o male? — mi chiese Annetta, impaziente del mio silenzio.

— Non so.... cioè sì, hai fatto bene, ma che cosa argomenti da tutto questo? Chi ti pare che sia il signor Bini?

— Prima di tutto non è il signor Bini, e poi mi pare che non sia il padre di Chiarina.

— Volevo ben dire!

— Ah! — sospirai crollando il capo, dopo un altro po' di riflessione.

— Almeno fosse morto! — mi rispose Annetta, leggendomi nel pensiero.

— Ebbene sì, almeno fosse morto! E non credere che sia augurare male al prossimo, perchè, vedi, bisogna considerare i morti a quest'ora come un numero fisso, inesorabile, che io non so, ma che la statistica sa benissimo. Se fra questi morti non ce n'è uno che si chiama Salvioni, ce ne sarà in vece sua un altro, il quale non ci ha fatto nulla e faceva forse benissimo a vivere.... Dunque.... —

Mia moglie mi guardava sbalordita; era l'effetto che mi aspettavo, perchè quell'idea che la mia coscienza era andata a pescare non so dove, sbalordiva me pure.

— Dunque.... — proseguii — noi non si vuol morto nessuno, noi non si regala nulla alla statistica dei cadaveri.... Si desidera solo.... insomma mi hai capito. Sei persuasa?

— Altro che persuasa! Per me il signor Salvioni è un birbone, che dovrebbe essere morto; se non è morto, farà bene a morir presto, che non abbiamo tempo da perdere, ed io glielo auguro con tutto il cuore. —